Psicologo Psicoterapeuta a Cagliari

Specializzata in psicoterapia individuale e di gruppo

 

Dott.ssa Benedetta Mulas

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L’invidia

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Il termine invidia deriva dal latino e significa “guardare contro”, in modo ostile. Al di là delle varie accezioni che la parola può assumere nei vari contesti, è interessante soffermarsi sul concetto di invidia espresso da Melanie Klein, inteso come una naturale tendenza che sperimentiamo sin da bambini e che, in un modo o nell’altro, attraversa tutte le fasi del ciclo di vita di ognuno di noi.

L’importanza della relazione

Di origine austriaca, Melanie Klein è stata una psicoanalista che ha offerto un immenso contributo allo sviluppo della teoria delle relazioni oggettuali. Questa teoria evidenzia l’importanza della prima relazione oggettuale che sperimentiamo da bambini, ovvero il rapporto con la madre e il seno materno. 

L’impulso innato alla suzione spinge il bambino a sperimentare un rapporto positivo e simbiotico con la madre e ad interiorizzare una rappresentazione del seno come oggetto buono, capace di dare nutrimento e cura al piccolo. Nei primi giorni di vita il neonato non distingue il proprio corpo come distinto dall’altro ed è pertanto guidato da una rappresentazione dell’oggetto parziale, ovvero vissuta come una protesi di sé. In questa fase il bambino non possiede un Io formato ma utilizza quello della madre in una relazione simbiotica che consente il soddisfacimento dei bisogni del piccolo. 

Man mano che il bambino inizia a sperimentare condizioni di disagio legate a vari fattori quali la fame, il sonno o il freddo inizia a rappresentarsi il seno della madre come ora buono, ora cattivo. Tale scissione tra seno buono e cattivo viene superata attraverso la rappresentazione dell’oggetto che da parziale diventa totale, ovvero separato dalla percezione che il piccolo ha di sé. Con la crescita l’oggetto primario viene gradualmente introiettato dal bambino favorendo, idealmente, la costruzione di un Io stabile. Ciò influenza fortemente le modalità attraverso cui le pulsioni interagiscono con gli oggetti, influenzando le relazioni adulte sulla base del modo in cui ciascuno di noi ha vissuto la relazione con gli oggetti parziali primari. 

Invidia e gelosia

Klein identifica il mondo interno del bambino come abitato contemporaneamente da pulsioni di vita e di morte, conflitto che lo accompagna sin dalla nascita. Nell’opera Invidia e gratitudine la psicoanalista distingue l’invidia dalla gelosia, intesa come pulsione di vita fondata sull’amore per l’oggetto buono e sulla presenza di un rivale, che nello stadio infantile è rappresentato dal padre, che vuole privargliene. 

L’invidia presenta caratteristiche opposte e può essere identificata come un sentimento di rabbia e ostilità verso chi possiede ciò che desideriamo. Questo sentimento è associato a un elevato impulso distruttivo che ci spinge a danneggiare ciò che sappiamo non ci apparterrà. Secondo Melanie Klein l’invidia influenza la capacità di provare gratitudine e di essere felici ed è basata sull’assunto della privazione. 

Quest’ultima si attiva nel rapporto a due, in origine con la madre e con la crescita si attiva dettando le stesse dinamiche apprese nello stadio infantile sull’altro. Si esprime attraverso un impulso rabbioso che si innesca di fronte alla percezione che qualcosa di nostro, di buono, ci sia stato portato via, attivando reazioni distruttive nei confronti dell’altro. Tale impulso si distingue dalla gelosia, che deriva dall’invidia ma si esprime attraverso un rapporto che prevede un terzo, quest’ultimo responsabile del mancato soddisfacimento dei bisogni personali perché capace di sottrarre l’oggetto amato. 

Gli impulsi distruttivi interagiscono tra loro potenziandosi e aumentando le difficoltà che il bambino prima e l’adulto poi incontrano nella costruzione e introiezione dell’oggetto buono poiché lo spingono ad attaccarlo invece di imparare a goderne i benefici. Da adulti ciò può esprimersi attraverso problematiche che interessano soprattutto la sfera relazionale, limitando fortemente la capacità di godere, essere grato all’altro e ricambiarlo dei piaceri tipici degli scambi interpersonali.

L’invidia in psicoterapia

L’invidia primaria, ovvero quella che si manifesta nel rapporto madre-bambino, può ripresentarsi durante il percorso psicoterapeutico. Tali esperienze tendono ad essere rivissute attraverso il transfert attraverso varie modalità quali la tendenza da parte del paziente di svalutare il lavoro del terapeuta. 

L’odio e l’invidia riemergono nelle sedute con intensità variabile, assieme ad altri impulsi distruttivi: l’invidia genera angoscia e senso di incertezza sulla bontà dell’oggetto e può ostacolare la costruzione dell’alleanza terapeutica e la spinta nel lavorare insieme per raggiungere gli obiettivi legati al benessere del paziente. Tale visione può arrivare a provocare importanti alterazioni della personalità e a impedire una rappresentazione dell’altro basata sulla fiducia e a ostacolare la possibilità di instaurare relazioni sincere, amare ed essere amati.

Il transfert clinico e la narrazione della storia di vita del paziente rappresentano importanti strumenti di lavoro che aiutano il clinico a lavorare nella relazione terapeutica sul vissuto dell’altro e di rintracciare insieme le origini dell’invidia. In tale senso il fine ultimo del lavoro clinico è imparare a intrattenere relazioni interpersonali basate sulla gratitudine anziché sull’invidia: la gratificazione dà al bambino e all’adulto la sensazione di essere pienamente accolti e soddisfatti dall’altro nei propri bisogni primari, innescando nella persona una spinta protettiva nei confronti dell’oggetto o, a livello relazionale, del rapporto con l’altro. A livello individuale, ciò aiuta a riattivare nel paziente le capacità riparative necessarie nella rielaborazione della rappresentazione dell’altro come distrutto e inefficace. 

Dott.ssa Benedetta Mulas Psicologo e Psicoterapeuta a Cagliari

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