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L’archetipo della Grande Madre nella psicologia analitica di Jung

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La psicologia analitica prevede l’esistenza di un’ampia gamma di archetipi che guidano le emozioni e il comportamento umano. In ciascuno di noi, a prescindere dal genere, vive l’archetipo della Grande Madre: simbolo di creatività ed elevatezza spirituale con la funzione di contenere e mantenere in vita la persona, aiutandola a sintonizzarsi interiormente con l’altro.

Il simbolismo dell’archetipo femminile: tra storia e mitologia

Il modello junghiano prevede la compresenza di un inconscio duplice: una dimensione individuale e un secondo livello più profondo e sovrapersonale. Nel secondo caso si parla di inconscio collettivo, un bacino dal carattere universale che racchiude in sé l’immagine del mondo e della vita sviluppatasi nel corso dei millenni.

Gli archetipi rappresentano il prodotto dell’inconscio collettivo e possono essere definiti schemi che anticipano l’esperienza e, al contempo, aiutano la persona a comprendere i propri eventi di vita. Quello della Grande Madre rappresenta uno dei più importanti archetipi junghiani e, come gli altri, ciascuno di noi neha ereditato la possibilità di rappresentazione e non la rappresentazione stessa con cui si manifesta.

Storicamente è possibile rintracciare le origini dell’archetipo della Grande Madre, o Grande Dea, nel culto del femminile dell’era neolitica. Lo testimoniano i numerosi ritrovamenti di statuette rappresentanti il femminile in tutte le sue vesti, assumendo personificazioni distinte che spaziano da Kubaba e Diana, dea della caccia, a Venere, simbolo della sensualità.

Gli archetipi sono esperiti dalla persona che li proietta all’esterno attraverso la coscienza, consentendo di dare loro forma interiormente o tramite gli altri, e dunque a livello interpersonale, ma anche per mezzo di situazioni diverse come la chiesa o la comunità di appartenenza. La Grande Madre può presentarsi come madre buona, madre terribile o buona e cattiva al tempo stesso; nell’ultimo caso gli elementi positivi e negativi sono unificati, per quanto in ogni caso compresenti.

Elementi stabili e ambivalenti legati al femminile

Il lavoro psicoterapico consente di lavorare sull’ambivalenza di tali modelli, che ciascuno di noi ha rappresentato inconsapevolmente anche attraverso l’ascolto di racconti. Come sottolinea Jung, si tratta di un archetipo che racchiude in sé elementi variegati: da un lato simboleggia l’autorità femminile, una rappresentazione dotata di saggezza ed elevatezza spirituale che aiuta l’individuo nel superare i limiti dell’intelletto.

Dall’altro la Grande Madre incorpora competenze necessarie all’accudimento, l’abilità genitrice del grembo materno che rende possibile la fecondità e la crescita del bambino attivando una tendenza di cura insita nell’essere umano. In tale senso rappresenta l’impulso soccorrevole, la protezione e la tolleranza verso l’altro: tutte qualità che sottendono funzioni oggetto di lavoro in psicoterapia. Si tratta di funzioni che permettono alla persona di sintonizzarsi emotivamente con l’altro: simbolo di trasformazione e rinascita che tuttavia racchiude in sé anche elementi negativi legati all’occulto, a ciò che genera angoscia, seduce e intossica.

Un esempio è la favola di Cenerentola, nella quale la rappresentazione del femminile avviene attraverso la fata madrina, simbolo della cura e dell’accudimento, e la matrigna cattiva, che diversamente rende possibile la proiezione della perdita e dell’abbandono materno.

Non a caso i racconti possono convertirsi in un importante strumento per il lavoro psicoterapico: attraverso favole, aneddoti e storie di vita personale è possibile rintracciare l’ambivalenza insita nella Grande Madre che, in alcuni casi, può assumere le sembianze di un essere vorace.

A livello psicologico tali dinamiche riflettono il suo lato ombra, quello che impedisce alla madre di esercitare la propria funzione accudente, trasformandosi da grembo protettivo a vaso freddo che ostacola l’esplorazione, la crescita e l’emancipazione del figlio. Nella vita di tutti i giorni ciò emerge attraverso l’interiorizzazione di uno stile di attaccamento intrusivo e vincolante che impedisce l’autonomia filiale o, nei casi più estremi, non cura ma distrugge e maltratta il bambino.

Per Jung la Grande Madre rappresenta un archetipo fondamentale per la crescita individuale che, come gli altri, è presente sin dalla nascita. Secondo il suo modello ciò avviene attraverso la tendenza infantile a proiettare il proprio ideale materno sulla figura di accudimento: così facendo l’archetipo guida il bambino nel suo processo di comprensione della realtà a di sintonizzazione con l’altro, consentendogli di ritrovare i valori materni di cura anche in persone diverse, come i nonni o la baby sitter.

In mitologia l’archetipo della Grande Madre include spesso figure divine quali la Madre Terra. In questa ottica la rappresentazione del femminile non si limita alla sola mamma che nutre il bambino, ma simboleggia la matrice genitrice della creazione e della natura. È il simbolo della vita e della trasformazione, strettamente connesso ai cicli di nascita e morte; ciò consente di lavorare sui cambiamenti nel corso di vita e sull’importanza della crisi quale fattore fondamentale per chiudere il ciclo precedente e passare a uno stadio successivo, evolvendosi. Sintonizzarci con tali archetipi accogliendone anche gli elementi ambivalenti può aiutarci ad agire in modo più consapevole rispetto ai modelli preesistenti e alle rappresentazioni che ciascuno di noi ha interiorizzato nella propria storia di vita.

Dott.ssa Benedetta Mulas Psicologo e Psicoterapeuta a Cagliari

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