Psicologo Psicoterapeuta a Cagliari

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Dott.ssa Benedetta Mulas

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La costruzione dell’identità femminile: dall’ingenuità alla saggezza

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Ogni donna è chiamata a seguire un importante percorso evolutivo che le consente di costruire la propria identità femminile attraverso il susseguirsi di diversi stadi. Tra i vari autori che hanno affrontato tale processo vi è Clarissa Pinkola Estés, la cui opera rappresenta tutt’ora un importante base per promuovere la conoscenza e la crescita del lato femminile che è in noi.

L’identità femminile come prodotto di un percorso evolutivo

Psicologi e letterati si sono alternati negli anni fornendo la propria visione di identità umana quale frutto della ricerca di un equilibrio tra il nostro lato maschile e femminile. In particolare Jung pose l’accento su quanto ogni individuo racchiude in sé elementi tipici di un animus maschile e di un’anima femminile, i quali concorrono a costruire una dualità in grado di interferire notevolmente sul nostro stato d’animo e sul nostro funzionamento relazionale. A tal proposito Jung sottolineò come esperienze che caratterizzano lo stadio infantile come il contatto tra madre e bambino possono contribuire inizialmente a creare un rapporto di dipendenza, un’esperienza archetipica indifferenziata che pone le basi per il successivo processo di costruzione dell’identità individuale e la presa di coscienza di chi siamo. 

Altri autori si sono susseguiti nel tempo fornendo il loro contributo relativo al percorso che rende possibile la costruzione dell’identità femminile. In particolare Clarissa Pinkola Estés ha fornito importanti spunti in tale senso attraverso un’opera scritta nel 1993 intitolata “Donne che corrono coi lupi”. Estés ha ampliato la propria pratica psicoanalitica con un contributo dedicato alle donne caratterizzato dall’alternarsi di diversi archetipi femminili. L’opera racchiude un’ampia varietà di miti e fiabe che risaltano il ruolo della cosiddetta Donna Selvaggia, archetipo che si incarna nella lupa, caratterizzato da un’intensa alternanza di energia dinamica e tendenza protettiva e materna; una figura caratterizzata dunque da elevata energia creatrice al contempo limitata da stereotipi imposti dal contesto ambientale, da insicurezze e paure 

La donna come Piccola Fiammiferaia e Donna Selvaggia: la crescita spirituale attraverso il mito

Si tratta di un’opera che racchiude in sé concetti profondi esplicati mediante un linguaggio di facile comprensione anche per i non addetti ai lavori, con un codice comunicativo tipico dei racconti popolari cui la psicoanalista si attinge. In particolare il mito della Donna Selvaggia rappresenta un tassello cruciale nel processo di costruzione dell’identità femminile: da un lato dolce e materna, dall’altro acuta e audace, in grado di riconoscere e smascherare le dinamiche comportamentali dei predatori, con le loro maschere e manipolazioni. Dietro questo mito si cela la spinta che porta il nostro lato femminile a dare valore alla propria parte selvaggia, rifiutando forme di addomesticamento non richieste a discapito della tendenza a incanalare le energie vitali per raggiungere i propri obiettivi. 

L’opera di Clarissa Pinkola Estés racchiude al suo interno un potenziale strumento di crescita interiore che si snoda attraverso fiabe quali La piccola fiammiferaia, Scarpette Rosse e altri racconti provenienti da diverse culture. Il fine ultimo è guidare le proprie lettrici alla ricerca della propria parte più autentica, svincolata da cliché e norme imposte dal microsistema familiare e dalla società, che dà spazio al lato femminile più intimo e istintivo. 

Ad esempio tramite la fiaba della Piccola Fiammiferaia l’autrice pone in evidenza l’identità femminile nei suoi aspetti di congelamento, riferendosi a un gelo affettivo che limita il potenziale umano paralizzando la donna e la sua energia vitale. Il personaggio è rappresentato da una bambina che cresce all’interno di un contesto che non riesce a valorizzarla né a prendersi cura di lei, finendo gradualmente a congelarne bisogni e desideri. La protagonista tende pertanto a dare agli altri ciò che ha, che nel racconto di Andersen è rappresentato dai fiammiferi, in cambio di poco, finendo con il perdere ciò che possiede. Ciò, di fatto, proietta una dimensione tipica delle donne che vivono rapporti di sfruttamento su vari livelli (affettivo, familiare o professionale) e finiscono con il regalare il proprio valore inutilmente. Al pari della piccola fiammiferaia della celebre fiaba, anche altre donne possono finire per vivere la propria esistenza completamente immerse nelle loro fantasie, ad esempio fantasticando in cambiamenti lavorativi improvvisi, o nel magico mutamento del proprio partner, finendo però per fungere unicamente da anestetico temporaneo che gradualmente le porta alla morte della vera essenza vitale. 

O ancora, la Donna Selvaggia, denominata anche la Loba o La Que Sabe (in italiano “colei che sa”), viene rappresentata come una lupa solitaria che vive nel deserto che trascorre le proprie giornate a raccogliere le ossa di altri lupi fino a ricomporre un intero scheletro e, cantando su quest’ultimo, riesce a trasformarlo in animale che riprende vita. Con questa rappresentazione l’autrice evidenzia l’importante percorso ciclico dato dall’alternarsi di vita, morte e rinascita che caratterizza gli aspetti più istintuali della donna; nel suo immaginario le ossa sono intese come forza motrice che la donna selvaggia custodisce in sé, fonte potente di trasformazione a patto di accettare le diverse fasi della propria storia di vita.

Dott.ssa Benedetta Mulas Psicologo e Psicoterapeuta a Cagliari

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