Psicologo Psicoterapeuta a Cagliari

Specializzata in psicoterapia individuale e di gruppo

 

Dott.ssa Benedetta Mulas

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Transfert e Controtransfert in psicoterapia

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Il concetto di transfert si è evoluto negli anni, a partire dalla visione freudiana successivamente arricchita dai contributi di altri celebri clinici quali Jung e Melanie Klein. Con il termine transfert ci riferiamo a una condizione emotiva che influenza fortemente la relazione del paziente nei confronti dell’analista. Tale influenza è dettata dal trasferimento delle rappresentazioni inconsce del paziente sull’analista e spesso è associata alla stessa dinamica operata da quest’ultimo nei confronti del paziente, che nel secondo caso prende il nome di controtransfert.

L’evoluzione del transfert negli anni

Sigmund Freud ha fortemente contribuito allo sviluppo della nozione di Transfert partendo dal concetto di spostamento, successivamente evoluto in quello di meccanismo proiettivo. Lo spostamento è un meccanismo di difesa che ciascuno di noi possiede.

Nell’ambito della psicoterapia il paziente sposta sull’analista le proprie rappresentazioni e conflitti interiori che in realtà non presentano collegamenti diretti con la relazione tra i due. Le emozioni e le rappresentazioni inconsce associate sono il frutto delle relazioni intersoggettive che il paziente ha vissuto durante la sua storia di vita e in particolare durante l’infanzia e possono essere attribuite a eventi reali o fantasmatici.

Attraverso il transfert il paziente mette quindi in moto dei modelli relazionali che a loro volta sono il frutto delle rappresentazioni acquisite nella fase infantile e possono essere di tipo positivo o negativo. La natura positiva o negativa non si riferisce alla loro influenza sull’esito favorevole o meno della terapia, bensì alla qualità dei sentimenti. Attraverso il transfert il paziente può sperimentare emozioni di entrambi i tipi: ad esempio le emozioni negative possono alimentare percorsi psicoterapici efficaci, così come può avvenire esattamente l’opposto.

Mentre il transfert freudiano è associato al concetto di Complesso Edipico, nella teoria kleiniana è strettamente correlato alle relazioni oggettuali. Più precisamente, nell’ambito della psicoterapia Klein vede nel transfert la possibilità del terapeuta di ricostruire assieme al paziente la natura delle prime relazioni che hanno segnato la sua storia di vita. Pur trattandosi di fenomeni avvenuti in tenera età e quindi impossibili da ricordare correttamente, secondo quest’ultima il transfert offre la preziosa occasione di ricostruire le modalità relazionali in termini di avvicinamento ma anche di distacco, consentendo l’emergere delle dinamiche alla base dell’allontanamento dall’analista che in buona parte ripercorrono quelle utilizzate per distanziarsi dalle figure primarie.

Anche secondo Jung il transfert non è direttamente riconducibile al superamento o meno del complesso edipico. Secondo il padre della psicologia analitica questo concetto non riguarda unicamente le componenti di natura sessuale né relative alla propria infanzia, ma può rappresentare il mezzo di espressione di contenuti di varia natura caratterizzati da un’alta carica emotiva che il paziente proietta all’esterno.

La funzione di transfert e controtransfert in psicoterapia

Freud sottolineò la funzione di resistenza del transfert: se il terapeuta lavora per riportare alla coscienza contenuti nascosti attraverso il meccanismo di difesa della rimozione, il transfert consente di bloccare questo richiamo alla memoria dei contenuti dolorosi passando direttamente alla proiezione di alcuni suoi elementi. Così facendo il transfert opera una resistenza che ostacola il lavoro psicoterapico.

Anche nel caso del controtransfert la visione freudiana rimarca l’influenza negativa che queste dinamiche operano nel lavoro clinico. A suo parere l’autoanalisi non è sufficiente a contenere il vissuto emotivo globale dell’analista nei confronti dell’altro e il controtransfert rappresenta un ulteriore ostacolo all’evoluzione della terapia perché impedisce al terapeuta di restare impassibile e distaccato.

Il controtransfert può giocare un ruolo cruciale in ambito psicoterapico, come affermato da Jung e successori. L’autore condivide con molti colleghi attuali l’idea che sia impossibile eliminare questa componente e che piuttosto, proprio considerata l’importanza che la relazione riveste nel percorso clinico, è fondamentale studiarne l’evoluzione e considerarla come un enorme bacino di informazioni cui attingere per favorire il cambiamento di entrambi. 

Il lavoro clinico attuale prosegue su tale tesi sottolineando il ruolo che la relazione gioca nell’efficacia terapeutica. In particolare Sullivan ha spostato l’attenzione, che fino a poco prima era concentrata unicamente sul processo di transfert e controtransfert come fenomeni studiati singolarmente, sulla cosiddetta matrice transfert-controtransfert. Con questa nozione ci riferiamo a entrambi gli elementi come un unico processo dinamico che non può essere scisso in quanto frutto dell’interazione e quindi non riconducibile esclusivamente all’uno o all’altro.

In tale ottica il terapeuta agisce come un “osservatore partecipe”, sfruttando l’abilità di auto osservazione dell’analista e la capacità di individuare e gestire il controtransfert, utilizzandolo come occasione per affrontare tematiche che spesso non sono direttamente collegate alle narrazioni cliniche.

Kernberg, considerato il padre della Terapia centrata sul Transfert, ha evidenziato un ulteriore aspetto significativo: la frequente alternanza di amore e aggressività nelle sedute di psicoterapia. A molti pazienti può capitare di esprimere sentimenti di rabbia e affetto in maniera anche diretta. Secondo Gabbard queste situazioni possono essere gestite attraverso vari interventi terapeutici come il contenimento, concetto accennato in precedenza, relativo alla capacità del terapeuta di agire come un enzima in grado di metabolizzare i contenuti che il paziente proietta in lui. Il transfert può essere caratterizzato da dosi di aggressività così elevate da richiedere di sospendere l’attività interpretativa e bloccare momentaneamente la ricerca degli elementi alla base di tale rappresentazione, per poi proseguire in un secondo momento.

Infine attraverso un ulteriore intervento il terapeuta può favorire l’integrazione, aiutando il paziente ad interiorizzare una rappresentazione completa che comprenda entrambi i nuclei, positivi e negativi, favorendo una percezione più oggettiva alla base del cambiamento terapeutico.

Dott.ssa Benedetta Mulas Psicologo e Psicoterapeuta a Cagliari

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