Psicologo Psicoterapeuta a Cagliari

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Dott.ssa Benedetta Mulas

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L’interpretazione in psicoanalisi

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Nell’accezione psicoanalitica l’interpretazione rappresenta un importante strumento di indagine che ha il fine di portare alla coscienza contenuti latenti, alla base del conflitto e del malessere individuale nonché delle specifiche dinamiche di funzionamento del singolo paziente. Nonostante tale accezione si sia evoluta nel tempo, ampliandosi in termini di portata e di trattamento terapeutico, l’interpretazione resta uno strumento di cura principe nella pratica psicoanalitica.

Definizione ed evoluzione nel tempo

La definizione di interpretazione fornita dall’enciclopedia della Psicoanalisi di Laplanche e Pontalis è da intendersi come quel particolare scambio comunicativo che avviene all’interno del setting clinico e consente al paziente di portare alla consapevolezza i contenuti e i comportamenti manifesti, mettendo dunque in luce le dinamiche del confitto e del desiderio inconscio alla base dei discorsi e delle azioni. Ciò consente di tirare fuori il significato latente di ciò che la persona fa e dice, fornendole, mediante l’interpretazione analitica, un punto di vista alternativo e più ampio rispetto alle proprie dinamiche intrapsichiche.
La nascita di tale nozione secondo il modello psicoanalitico risale al 1899, anno di pubblicazione della celebre opera freudiana “L’Interpretazione dei Sogni”. Come suggerito dallo stesso titolo, la prima accezione all’utilizzo di tale strumento di cura era limitato al mondo onirico, intravedendo nel sogno una via privilegiata per accedere ai contenuti inconsci individuali; tuttavia con il passare degli anni il suo uso si è ampliato ad altri fenomeni inconsci quali gli atti mancati, i lapsus e le dinamiche di transfert che prendono forma nel setting clinico.
L’accezione classica proposta da Freud vede l’interpretazione come strumento principe della pratica psicoanalitica in quanto in grado di favorire l’insight, ovvero di aumentare la consapevolezza del proprio funzionamento mentale grazie alla trasformazione di contenuti latenti a causa del meccanismo di difesa della rimozione in materiale conscio, consapevole. Secondo il modello del conflitto pulsionale il paziente non è inizialmente in grado di rappresentarsi tali contenuti latenti a causa dell’impossibilità di convertirli in espressioni verbali; sarà dunque compito dell’analista trasformare tali contenuti in ipotesi tese ad esprimere il significato reale di sintomi e condotte del paziente.
Tale ottica riflette una relazione non paritaria all’interno del setting clinico, all’interno del quale il terapeuta assume un ruolo primario ed autorevole a discapito di un paziente meno attivo e informato rispetto alle proprie dinamiche psichiche. Qualsiasi errore di interpretazione può giocare un ruolo cruciale nel successivo evolversi della terapia, con il rischio di alimentare i meccanismi di resistenza e il permanere della condizione originaria dei sintomi del paziente.
Già nelle successive opere e in particolare con il saggio “Al di là del principio di piacere”, Freud ampliò la nozione di interpretazione analitica rivolgendosi all’Io del paziente e alla sua capacità di produrre le resistenze. Emerge gradualmente una visione più costruttiva del processo terapeutico, che man mano identifica nell’interpretazione uno strumento in grado di co-costruire il significato profondo dei contenuti latenti, a partire da una serie di ipotesi differenziate e opposte, e dunque non più precise e definite, che il paziente può convalidare, smentire o mettere parzialmente in discussione. Secondo l’ultima accezione, dunque, l’interpretazione analitica non mira più a fornire una visione universale bensì basata sulla storia personale del soggetto, reinterpretando sintomi e significati sulla base della propria storia di vita.

Verso una concezione co-costruita

Negli anni a seguire l’interpretazione ha continuato ad evolversi seguendo tale scia, ampliandosi in termini di metodologia e di visione dei due interagenti ed evidenziando il ruolo delle dinamiche relazionali che si manifestano nel setting clinico.
In particolare, autori come Alexander e French ne hanno messo in risalto il ruolo di “esperienza emozionale correttiva”: in tale ottica il processo interpretativo in psicoanalisi è visto come un percorso in grado di modificare l’esito finale di vecchi conflitti irrisolti, i quali riemergono e si ripetono con il transfert. La risoluzione dei sintomi si configura così come una possibilità di cambiamento data dal riconoscimento e della modificazione degli schemi disfunzionali originari del paziente, fornendogli una risposta e un esito diverso da quello interiorizzato nelle esperienze passate. Sotto questo punto di vista ciò che conta ai fini terapeutici non è tanto l’insight o la verbalizzazione quanto la capacità di offrire al paziente un’esperienza emotiva riparatoria.
Autori come Balint hanno sottolineato il ruolo di alcune competenze del terapeuta nell’interpretare correttamente le dinamiche del paziente, sulla base della capacità del primo di sintonizzarsi con i suoi reali bisogni. Secondo tale visione, pertanto, affinché lo strumento d’indagine psicoanalitico possa favorire l’insight del paziente, deve associarsi a una notevole capacità ricettiva nei confronti dell’altro.
La visione del metodo dell’indagine si è evoluta ulteriormente in senso di co-costruzione e di processo complesso, difficilmente inquadrabile come azione unilaterale. In particolare Mitchell la definisce come un agito dell’analista e al contempo come un evento relazionale, dalla cui osservazione è possibile intravedere importanti aspetti rispetto al tipo di rapporto costruito tra i due.
Tale visione è quella tutt’ora più condivisa in letteratura e nella pratica clinica ed ha comportato una graduale trasformazione della relazione terapeutica, ponendo l’accento anche sulle dinamiche interne dell’analista e sul ruolo di un profondo lavoro su sé stesso, necessario a riconoscere le proprie dinamiche e l’influenza dei vissuti personali. Ciò consente al terapeuta di andare alla ricerca della propria autenticità e di non restare vincolato alla matrice relazionale del paziente, ampliando i contenuti che entrambi portano nel setting clinico e favorendo la progressione della relazione terapeutica.

Dott.ssa Benedetta Mulas Psicologo e Psicoterapeuta a Cagliari

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