Psicologo Psicoterapeuta a Cagliari

Specializzata in psicoterapia individuale e di gruppo

 

Dott.ssa Benedetta Mulas

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Il ruolo dell’empatia nella relazione tra terapeuta e paziente

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Esistono vari tipi di approcci teorici e relative tecniche che gli psicologi mettono in atto, ma talvolta l’elemento alla base della buona riuscita del percorso terapeutico sembra dipendere da fattori diversi. Più precisamente, spesso gli indicatori più affini al raggiungimento degli obiettivi terapeutici non rientrano nella sfera tecnica ma riguardano prettamente le qualità che un bravo terapeuta dovrebbe possedere quali l’empatia, una componente fondamentale per instaurare una relazione collaborativa e vicina al vissuto del paziente.

L’empatia tra comprensione e distanza emotiva

L’empatia può essere definita come la capacità di “mettersi nei panni dell’altro” e rappresenta una risorsa fondamentale nell’interazione con il paziente. Nell’ambito clinico l’empatia si configura come una particolare porta di accesso che fa da tramite tra il terapeuta e gli stati d’animo che emergono dal racconto del paziente. 

Si tratta di una competenza che favorisce la comprensione dell’altro non sul piano cognitivo ma su quello emotivo, consentendo allo psicologo di individuare il significato più profondo degli eventi che la persona porta in seduta. Nella relazione terapeutica l’empatia assume una rilevanza centrale in quanto consente di rielaborare il messaggio ricevuto in funzione dei reali bisogni del paziente e di individuarne il contenuto metacognitivo, elemento che solitamente passa in secondo piano quando viene espresso all’interno di relazioni diverse da quella terapeutica.

Nella pratica clinica l’empatia aiuta il terapeuta a condividere i sentimenti dell’altro senza venirne inondato, immedesimandosi nei suoi stati d’animo e cogliendone la prospettiva soggettiva. Ciò permette di favorire la comprensione del particolare punto di vista del paziente, condizione necessaria per accompagnarlo nel proprio percorso psicoterapico utilizzando la particolare “lente” con cui vede il mondo e le risorse personali.

L’empatia affonda le sue radici nelle componenti neurobiologiche dell’organismo e in particolare nei neuroni specchio: la semplice osservazione o l’ascolto di situazioni ed eventi di vita attivano nel terapeuta le stesse aree cerebrali imputate nell’elaborazione degli stessi stimoli vissuti in prima persona.

La componente biologica e relazionale contribuisce quindi a migliorare il rapporto terapeutico permettendo allo psicologo di avvicinarsi al mondo del paziente. 

Tuttavia entrare in relazione con il vissuto dell’altro non significa venirne inglobati, condizione che per ovvi motivi escluderebbe il ruolo terapeutico dello psicologo. Il mettersi nei panni dell’altro rappresenta per il terapeuta una risorsa nella misura in cui quest’ultimo riesce a condividere quel tanto necessario per aiutare il paziente, rendendo le emozioni da entrambi condivisi oggetto della seduta. Questo confronto permette di utilizzare l’empatia come uno strumento necessario ad accrescere le abilità metacognitive e a identificare strategie inutilizzate dal paziente, aiutandolo a cogliere punti di vista alternativi e ad arricchire l’esperienza di nuovi significati. 

Alcuni approcci come quello rogersiano evidenziano l’importanza dell’empatia come una risorsa in grado di favorire l’ascolto attivo e la sospensione del giudizio da parte del terapeuta, condizione necessaria per fornirgli una piena accettazione che va al di là dei vincoli soggettivi propri di entrambe le parti.

Comprendere pienamente il paziente significa dare senso a tutti i dettagli che ruotano attorno alle situazioni da lui vissute. Una stessa situazione riportata da più pazienti assume attraverso l’empatia un significato ogni volta diverso, che pone l’accento sulle componenti specifiche che ne determinano l’attribuzione di significato e che in gran parte spiegano il motivo per cui il paziente reagisce attuando un determinato comportamento, per quanto apparentemente disfunzionale possa sembrare.

Altri autori come Grossman parlano invece di “abbraccio empatico” in riferimento al bisogno innato che ci porta a metterci nei panni dell’altro fin dalla nascita. I processi che portano la mamma a ricercare spontaneamente una condivisione e una comprensione dei bisogni del piccolo si ripropongono all’interno della relazione terapeutica con le stesse finalità, permettendo al paziente di sentirsi pienamente accolto e favorendo lo sviluppo di sentimenti di fiducia in grado di compensare una rappresentazione di sé dettata da caratteristiche opposte. Così facendo lo psicologo riveste la funzione di holding materna, sostenendo il paziente e contenendo il dolore connesso alla solitudine e utilizzando la condivisione come mezzo per rafforzare la reciproca identità e autonomia.

La relazione terapeutica: un tassello fondamentale

Nel corso degli anni sono state effettuate svariate ricerche volte a identificare i motivi che determinano la buona riuscita di una terapia. Un’interessante meta-analisi condotta da Horvath, Del Re, Flückiger et al. ha rivelato che la relazione terapeutica rappresenta un fattore in grado di predire il successo della terapia più di quanto non accade per il tipo di approccio teorico e pratico adottato dal professionista. 

Ciò pone in risalto l’importanza che alcune qualità personali e relazionali quali l’autenticità e l’empatia del terapeuta rivestono nella buona riuscita del percorso psicologico. Queste caratteristiche giocano un ruolo cruciale nel favorire e mantenere un’alleanza terapeutica nella quale entrambi i protagonisti possono mettere in moto le proprie risorse e condividerle per raggiungere gli obiettivi prefissati. Inoltre l’empatia aiuta il paziente ad aprirsi nella sicurezza di sperimentare, a volte per la prima volta nella propria vita, una base sicura a cui tornare e da cui partire per esprimere pienamente il proprio potenziale.

Dott.ssa Benedetta Mulas Psicologo e Psicoterapeuta a Cagliari

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