Psicologo Psicoterapeuta a Cagliari

Specializzata in psicoterapia individuale e di gruppo

 

Dott.ssa Benedetta Mulas

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L’anoressia

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L’anoressia è conosciuta e stata descritta da più autori in epoche antiche. Già nel 1689 Richard Morton descriveva i sintomi principali di questa patologia, a cui aveva dato il nome di “ptisia nervosa” e che attribuiva ad una alterazione dello slancio vitale. Classicamente, le prime descrizioni dell’anoressia mentale sono attribuite a Lasègue e Gull, che pubblicarono nella seconda metà del 1800 e a distanza di breve tempo l’uno dall’altro le loro esperienze cliniche.

Ad oggi, il quadro clinico della sindrome anoressica è piuttosto ben definito e caratteristico.

Essa si stabilizza in 3-6 mesi, prevalentemente nel periodo adolescenziale e nelle popolazione femminile, dopo una fase caratterizzata dal desiderio di “seguire una dieta” per perdere qualche chilo ritenuto superfluo. Spesso può essere individuato un evento scatenante che assume nella maggior parte delle volte il senso di una perdita o separazione: conflitto o separazione familiare, rottura o abbandono sentimentale, lutto o nascita.

Altre volte, l’ossessione della perdita di peso può scaturire da episodi banali come l’osservazione scherzosa di un familiare o di un amico. In generale si può dire che gli eventi che innescano il meccanismo patologico delle diete sono proprio quelli che mettono alla prova il senso di autonomia e di indipendenza del soggetto: il cambio della scuola, le prime feste tra amici, le prime relazioni sessuali, oppure la perdita di un’amicizia, l’allontanamento da casa ecc.

Man mano che il tempo passa, la restrizione alimentare diventa più grave e il sintomo anoressico evidente. La condotta alimentare restrittiva viene attuata a questo punto con costanza, tenacia estrema, risolutezza. Mentre la dieta è sempre più scarna e povera, il pensiero è sempre più invaso dall’idea del cibo e si polarizza sul conteggio delle calorie e sull’individuazione di atti che possano eliminare ciò che viene ritenuto inutile o superfluo.

Il comportamento alimentare cambia e il soggetto tende a selezionare sempre più il cibo, a masticarlo inesorabilmente, a tritarlo senza fine, talvolta a risputarlo. Iniziano i conflitti coi familiari durante l’ora dei pasti, tant’è che molto spesso l’anoressica/o finiscono col mangiare a orari diversi o a isolarsi in cucina per essere al riparo da controllo e conflitto.

In alcuni casi la restrizione alimentare è regolare e crescente, in altri può essere intervallata da crisi bulimiche che vengono sempre vissute con enorme senso di colpa e disgusto e seguite da manovre per eliminare le calorie ingerite (vomito, lassativi, esercizio fisico supplementare).

Il dimagramento, inizialmente leggero, può raggiungere livelli piuttosto elevati: si può perdere il 20 – 30 % del peso iniziale e nelle forme più gravi arrivare fino al 50%. L’anoressica/o si pesa regolarmente, è fiera di sè appena rileva un calo ponderale, e quasi sempre malgrado l’evidente magrezza continua a ritenersi e vedersi sovrappeso.

E’ presente una percezione completamente distorta della propria immagine corporea (dismorfismo corporeo) che spesso si esprime maggiormente riguardo determinate parti del corpo come le cosce, le natiche, la pancia (dismorfofobie localizzate).

L’iperattività è sempre associata alla modificata condotta alimentare e si esprime nello studio o nel lavoro e nell’esercizio fisico che viene praticato costantemente e in forme piuttosto pesanti nell’intenzione di modellare il corpo e permettere un ulteriore dimagrimento.

E’ frequente anche il disinteresse totale per la sessualità: le attività sessuali vengono ignorate o, qualora praticate, diventano attività conformiste “per essere come gli altri”, ma senza grandi implicazioni affettive.

Per riassumere, i criteri diagnostici attualmente accettati a livello della comunità scientifica internazionale sono quelli dell’American Psychiatric Association DSM-IV e, nello specifico, per l’anoressia nervosa sono i seguenti:

– Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la statura (per es. perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto)

– Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso

– Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima o rifiuto di ammettere la gravità dell’attuale condizione di sottopeso

– Nelle femmine dopo il menarca, amenorrea cioè assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi (una donna viene considerata amenorroica se i suoi cicli si manifestano solo a seguito di somministrazione di ormoni, per es. estrogeni)

Il DSM IV individua inoltre due sottotipi di anoressia nervosa:

Con Restrizioni:  il soggetto non ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (per es. vomito autoindotto, uso inappropriato di

lassativi, diuretici o enteroclismi)

Con Abbuffate/condotte di eliminazione: il soggetto ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (per es. vomito autoindotto, uso

inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi)

Già nei primi lavori di Lasègue e Gull, l’importanza del contesto familiare nella sindrome anoressica era stata messa in evidenza. In alcuni casi, le madri dei soggetti anoressici sono state descritte come ansiose, iperprotettive, incapaci di riconoscere la differenza tra i propri bisogni e quelli dei propri figli e tendenti a “utilizzare” questi ultimi come valorizzazione narcisistica di se stesse. In altri casi, sono descritte comefredde, poco inclini all’immaginazione, alla fantasia, ma più interessate al funzionamento “organico” e operativo dei figli.

I padri sono descritti invece come permissivi, spesso assenti o isolati nella vita familiare. La coppia genitoriale mostra una unione soddisfacente all’apparenza, ma tale armonia è di frequente solo superficiale. Le interazioni all’interno della famiglia sono di solito molto rigide e molto patologiche. Di fronte a una condotta così allarmante, è ovviamente molto complicato comprendere cosa, all’interno delle dinamiche familiari, sia causa o conseguenza dell’anoressia.

I cambiamenti all’interno della famiglia provocati dal sintomo sono vari e ben focalizzati attorno all’assunzione del cibo: spesso nella coppia genitoriale, si alternano momenti di preghiera o ricatto, di seduzione o minaccia, di indifferenza o preoccupazione. Tra i membri della famiglia si rinforza sempre più un legame di dipendenza pieno di sensi di colpa; tale legame può arrivare ad essere estremo: da un lato il genitore non lascia mai il

proprio figlio/a, dall’altro questi controlla l’intera vita familiare (pasti, uscite, tempo libero). In alcuni casi, richieste non soddisfatte possono provocare forti manifestazioni d’ira nel soggetto che soffre di tale disturbo, altre volte si determina nella vita familiare un clima idilliaco e privo di conflitti che giustifica il rifuto di separarsi e curarsi.

Secondo Bruch e Mara Selvini Palazzoli, all’origine dell’anoressia c’è un totale disconoscimento dei bisogni interiori e del corpo che necessariamente risale alle prime esperienze di attaccamento tra il neonato e la propria madre.

In queste primarie esperienze, fondamentali per la formazione dell’identità e del senso del Sè, il neonato riceverebbe dalla propria madre risposte confuse, caotiche, inadatte, confuse; tali errati apprendimenti non permettono al bambino e poi all’adolescente di riconoscere i bisogni del proprio corpo e della propria anima.

Il bambino impara a riconoscere e a rispondere alle sensazioni e ai bisogni della propria madre e non ai propri e tutto ciò determina pesanti disturbi nella costruzione della propria identità, dei confini dell’Io, della propria immagine corporea. Le persone che soffrono di anoressia hanno vissuto nella maggior parte dei casi un’infanzia in cui è stata presente una grande cura e anche una grande generosità materiale nei loro confronti.

Quello che manca è però il riconoscimento delle proprie necessità interiori, delle proprie esigenze, l’incoraggiamento nella realizzazione dei propri desideri e delle proprie aspirazioni. Il ruolo che viene loro “affibbiato” è quello della ragazza mite, docile, che ascolta e segue le regole dei genitori, che diventa motivo d’orgoglio da raccontare a amici e parenti. Per questo, il soggetto anoressico impara a difendersi dalla propria sensazione di inadeguatezza e di non autonomia attraverso un eccessivo conformismo; si adatta alle richieste altrui, facendo sempre ciò che ci si aspetta da lui. Il prezzo da pagare è la rinuncia allo sviluppo dell’autonomia interiore.

Il corpo diventa oggetto di odio: esso è posseduto da un cattivo oggetto (“cattiva madre”) che è stato introiettato e interiorizzato come un persecutore interno che deve essere sconfitto, distrutto, ucciso. Incorporare il cibo, ingerirlo, ingoiarlo significherebbe nutrire tale persecutore interno che è appunto totalmente identificato e confuso con l’intero corpo. Esiste una vera e propria scissione nell’Io tra il soggetto e il corpo, che diventa qualcosa di esterno da controllare e modellare per far si che quel persecutore interno, quel cattivo oggetto interiorizzato venga tenuto sotto controllo e sconfitto.

Il rifiuto del cibo diventa l’unica forma di autonomia possibile e l’unica possibilità per ribellarsi a quel falso-Sè costruito per compiacere i desideri materni e dare voce al proprio vero Sè. Diventa anche lo strumento per ottenere l’attenzione dei propri genitori e allo stesso tempo lo strumento per punirli e dominarli, in un circolo vizioso difficile, doloroso e pericoloso.

Dott.ssa Benedetta Mulas Psicologo e Psicoterapeuta a Cagliari

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